persone che si tengono per mano mentre camminano

Epatite C e HIV: le difficoltà della coinfezione

Le uniche due cose che hanno in comune sono la replicazione del genoma a partire dall’RNA e la coesistenza con l’anticorpo all’interno dell’organismo che ne viene infettato. Per tutto il resto, HIV e HCV sono virus molto diversi tra loro. Il primo, unendosi al genoma ospitante, agisce trasformando il proprio materiale genetico in DNA, distruggendo il sistema immunitario (i linfociti T, responsabili della identificazione degli antigeni, della stimolazione dei linfociti B, deputai alla produzione degli anticorpi, e della memoria immunologica); il virus dell’epatite C non produce DNA ma moltiplica enormemente il proprio RNA 1. Il parallelismo delle modalità di trasmissione ha sempre lasciato supporre un rischio di doppia esposizione. Oggi è la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità a confermare l’elevato rischio di coinfezioni. Secondo uno studio supportato dall’OMS, infatti, chi convive con l’agente eziologico dell’AIDS ha in media sei volte più probabilità di essere infetto anche dal virus HCV rispetto al resto della popolazione2. Questa coesistenza si misura in circa 2,3 milioni di persone nel mondo che convivono con HIV ed epatite C3. In Italia sono circa 25 mila, con 400 casi ogni anno4. Una relazione che si dimostra pericolosa in fase di definizione del percorso terapeutico, così come se si considera che i pazienti coinfetti sono esposti ad una progressione più rapida delle malattie e a numerose complicanze5. L’epatite C infatti è una malattia complessa causata dal virus HCV6, un virus che colpisce prevalentemente il fegato, ma può determinare conseguenze negative anche al di fuori dell’organo, le cosiddette complicanze extra epatiche7,8, che rappresentano un’aggravante seria all’interno di un organismo già profondamente debilitato dall’infezione da HIV. Parallelamente, la presenza di HCV accelera la comparsa di malattie correlate all’HIV, come infarti, ictus e tumori nei confronti dei quali le persone affette da HIV sono più a rischio. Questi pazienti andrebbero quindi trattati per ridurre al minimo i danni e l’esposizione ad altre patologie. Quello che sembra emergere da più parti, alla luce delle nuove possibilità terapeutiche per l’epatite C, è l’opportunità di definire quanto prima un trattamento per i pazienti coinfetti prima che l’infezione da HCV diventi una fibrosi grave o una cirrosi del fegato9.